La Cassazione conferma l’esclusione dei rifiuti speciali dal pagamento del tributo

Tempo di lettura: 2 minuti
20/05/2016

Ci sono voluti dieci anni per confermare il diritto di un’impresa di Lamporecchio (PT) di non vedersi applicata la tassa rifiuti sulle aree produttive ma alla fine, dopo un lungo percorso legale, la Cassazione ha confermato un principio fondamentale: non possono essere assoggettate alla tassa sui rifiuti (TIA, ai tempi del ricorso) i locali destinati alla produzione in cui si determinano, quindi, rifiuti speciali e non rifiuti urbani. Negli anni la tariffa rifiuti si è trasformata un numero spropositato di volte: Tarsu, Tia, Tares e oggi TARI.

Questo tributo, che dovrebbe costituire il corrispettivo che i Comuni richiedono a fronte del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, con il passare degli anni è diventato, in parecchi casi, una fonte di risorse per sanare i bilanci comunali. Il tema della non applicazione della tassa rifiuti urbani sui rifiuti speciali, per i quali le imprese già sostengono i costi di raccolta e di smaltimento che sono effettuati da aziende specializzate, è più che mai attuale.

Un anno fa, il Ministero dell’Economia ha chiarito ufficialmente questo principio. Non è servito però a risolvere completamente il problema: parecchi Comuni, infatti, continuano ad emanare Regolamenti non in linea con questo principio, o lo rispettano solo parzialmente. In alcuni casi, anche laddove i Regolamenti sembrano coerenti, emergono situazioni contraddittorie nella concreta applicazione del tributo. Una situazione paradossale. La pronuncia della Cassazione porta finalmente risposte chiare all’impresa che ha dovuto gestire tre ricorsi (il gestore incaricato della riscossione del tributo, dopo aver perso il primo ricorso alla Commissione Tributaria, ha portato avanti altri due livelli di giudizio nel tentativo di far valere l’applicazione del tributo anche laddove non dovuto) e attendere molti anni.
La sentenza è la conferma sulla correttezza di un principio, da sempre sostenuto dalle Associazioni sindacali ma disatteso da parecchi Comuni. Una più corretta definizione di questo tributo alleggerirebbe le imprese da pesanti costi non dovuti, ma consentirebbe anche una tassazione più coerente con gli obiettivi di tutela ambientale, consentendo alle imprese di privilegiare i circuiti di raccolta privati che hanno dimostrato di garantire una gestione più efficiente e sostenibile da un punto di vista ambientale rispetto al servizio pubblico.